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Livia

Londra, agosto 2024.

Venti di mare rinfrescano l'aria e le nuvole si spezzano in un lungo corteo che corre verso la costa.

Per chi arriva dal mediterraneo, dove l'estate rovente brucia ancora l'aria e confina il pensiero nella fatica, è un sollievo. 
Per cinque giorni, ogni anno sul finire dell'estate, ogni volta in un luogo diverso, si svolge l'International Meeting on Dialogical and Reflective Approaches to Psychosis and Other Challenging Mental States, quest'anno alla ventottesima edizione. Si tratta di un incontro internazionale che raccoglie persone da tutto il mondo (per la precisione da ventotto paesi e cinque continenti) e con background differenti: chi lavora nel settore della salute mentale, chi ha un vissuto di sofferenza psichica personale o in famiglia, chi è diventato esperto per esperienza, chi fa ricerca e chi ancora sta studiando, tante figure, in un'eterogeneità di voci e di interessi. Si parla di salute mentale, di dialogo, di psicosi e stati di alterazione, di come ascoltare la sofferenza delle persone per farne strumento di comprensione e di libertà, di benessere, di come tollerare l'incertezza, ma soprattutto si parla di persone, di storie, a partire dalle proprie.

L'IMDRAP non è strutturato come un convegno qualunque, ha una sua specificità formale, cioè la co-costruzione. Alle relazioni frontali si associano momenti di confronto in piccoli gruppi, sui temi che premono di più ai partecipanti, decisi collettivamente il primo giorno, a partire dagli spunti che emergono dai singoli.

Così si passa dal conoscere gli ultimi progetti di applicazione del dialogo aperto alle frontiere più innovative della ricerca, quantitativa e qualitativa, alle entusiasmanti sperimentazioni dialogiche in Corea del Sud, fino ad arrivare a riflettere sul futuro di un approccio che non ha la vocazione di diventare un'istituzione, ma che cerca di strutturarsi nella flessibilità. Ci si chiede se il dialogo aperto funziona, se ha un futuro, quali sono le forme di sofferenza più diffuse e quali le pratiche che garantiscono un autentico percorso di guarigione.
Tutte le persone presenti, operatori, familiari, pazienti e utenti dei servizi, implicitamente concordano sull'importanza del porre attenzione sul tema della salute mentale, in un momento in cui ci sono tanti motivi per stare male e per cadere nella confusione e nella paura.

Durante cinque giorni di intensa convivenza, piano piano si impara a riconoscere i visi, ci si scambia nomi, contatti, esperienze e desideri. Coloro che all'inizio erano estranei, iniziano ad acquisire profondità, colori, complessità. Si costruisce una certa intimità, che ciascuno vive a suo modo, scegliendo il grado di intensità e permettendosi momenti di solitudine, in cui far sedimentare le tante parole ascoltate durante la giornata. La sera si torna a casa pieni di voci e di sguardi che nutrono, anche, forse soprattutto, quando fanno vacillare le nostre certezze.

Nessun incontro virtuale, seppur spesso magico e funzionale a unire persone distanti, può eguagliare l'umanità di ritrovarsi insieme nello stesso luogo, nella vicinanza dei corpi che si circondano.

I progetti, i sogni, le ferite, le paure espresse e accolte nel solido grembo collettivo prendono forma nelle parole che incespicano dall'emozione o nelle tortuosità della lingua straniera.

Si lascia Londra con nuovi amici e amiche, ciascuno di ritorno nel suo fuso orario, chi in città chi tra i monti, chi felice chi inquieto, chi voleva restare, chi se n'è andato prima, arricchiti da nuove idee e tormentati da qualche nuovo, fertile, dubbio.

Ci vediamo a Rovaniemi nel 2025, si torna alle radici, tra i ghiacci della Lapponia!

Livia